La condizione del lavoro in Italia è drammatica: Oltre 3 milioni di persone sono costrette a lavorare in nero. Oltre 1,5 milioni sono i disoccupati “formali” e, sommando anche gli “scoraggiati” a cercare lavoro e gli inattivi, il numero reale di disoccupati sale a 3,5 milioni. A questi si aggiungono i precari (riportati nelle statistiche ufficiali), i lavoratori in part-time involontario o con un numero di ore troppo basso per essere realistico, in totale più di 4,5 milioni di persone. Oltre 500.000 sono le persone in cassa integrazione mediamente ogni mese. Insomma, circa 8 milioni di lavoratori e lavoratrici italiane si trovano in una situazione di grande sofferenza: senza lavoro, con salari insufficienti indeboliti o, addirittura, privati delle tutele e dei che gli spettano.
Una parte del problema è legato alla crisi, alla sua profondità e durata nel tempo. Un’altra forse più consistente responsabilità è invece da attribuire alle scelte del governo Berlusconi che si sono dimostrate tutte sbagliate e inadeguate, se non persino deliberatamente opposte a contrastare la precarietà, combattere il lavoro nero, riformare gli ammortizzatori sociali, orientare le politiche di sviluppo, ricercare la ripresa.
Questa situazione è pagata in primo luogo :
Dai giovani, senza opportunità d’impiego o con tassi di disoccupazione fra i più alti in UE, ma anche con rapporti di lavoro sempre più caratterizzati da precarietà strutturale che riguarda ormai l’80% delle nuove assunzioni; Dalle donne, per le quali questi elementi si presentano addirittura accentuati, con le aggravanti di un tasso drammatico di inattività, di lavoro irregolare e di un lavoro a tempo parziale involontario a bassissimo orario; Dai lavoratori del Mezzogiorno, il cui il tasso di irregolarità e di lavoro nero si è accentuato durante questi anni e con una disoccupazione e inattività altissima; Dagli immigrati, prime vittime della politica fondata sulle discriminazioni che il governo incentiva, e particolarmente esposti ai ricatti per effetto del rischio di espulsione; Dai lavoratori pubblici, a cominciare dai precari, la cui stessa esistenza viene messa in pericolo attraverso i tagli, che li colpiscono in maniera indiscriminata per gran parte dei quali non esistono tutele. In definitiva, a pagare la crisi è tutto il mondo del lavoro, a cui viene chiesto peraltro di sobbarcarsi gran parte dell’azione del risanamento dei conti pubblici e dell’economia, con l’aggravante dell’articolo 8 della manovra estiva e del collegato lavoro predisposti dal governo di centrodestra, che prospetta incredibilmente come soluzione alla crisi produttiva e occupazionale licenziamenti più facili. Un futuro “già scritto” di minori diritti e maggiori carichi di lavoro. Un futuro però che può essere cambiato. Occorre una svolta politica e sociale. Occorre che le disposizioni sul collegato lavoro e l’art. 8 siano cancellate. Occorre che le norme sul licenziamento facile non si concretizzino. La crisi è il punto finale di una cultura politica ed economica che ha fatto della presunta idea dell’autoregolazione del mercato (e anche del mercato del lavoro) e della competizioni sui costi (anche qui soprattutto del lavoro) il proprio principio indiscusso. E la stessa crisi dimostra che l’idea è sbagliata. A tutto questo si deve contrapporre una visione dello sviluppo fondata sul lavoro, sulla conferma dei diritti conquistati e sul loro allargamento a chi ne è sprovvisto: da un lato, attraverso operazioni di riduzione o cancellazione di misure economiche e tipologie di lavoro inaccettabili; dall’altro lato, intervenendo sulla “qualità” delle forme di lavoro e affermando una differenza di costo che impedisca la competizione tra tipologie, per favorire il lavoro stabile. Premessa di questo intervento è la norma europea sul lavoro a tempo indeterminato come forma tipica del lavoro e la definizione di un sistema universale di ammortizzatori sociali, senza discriminazione per tipologia di lavoro, settore di attività o dimensione di impresa. Queste le proposte della CGIL. Proposte già in campo e da conquistare nel confronto tra le parti sociali e istituzionali. Proposte che, se necessario, andranno avanzate anche con una straordinaria iniziativa.
È sui diritti del lavoro che si gioca la partita decisiva per le persone e per la qualità dello sviluppo: la CGIL ritiene che la dignità e la qualità del lavoro, oltre ad essere valori in sé e costituzionalmente tutelati, siano anche una strategia di politica economica per consolidare il tessuto economico del Paese, istradandolo verso produzioni di qualità che investano sul lavoro e i suoi diritti.
Il 3 dicembre a Roma per il lavoro, per il futuro!