La drammatica crisi finanziaria che sta colpendo il mondo intero ed in particolar modo l’Europa non ha solo ripercussioni sui bilanci degli Stati e sulla tenuta dei conti pubblici ma, come vedremo, ha effetti diretti e indiretti sulle tasche dei cittadini, in particolar modo sui cittadini onesti che pagano regolarmente le tasse. Il nostro premier Silvio Berlusconi, ha negato fino a pochi mesi fa che la crisi fosse grave e che colpisse in maniera forte anche il nostro paese; per due anni il governo non è stato capace di prendere provvedimenti per rilanciare l’economia e risanare il deficit statale; la debolezza politica, la mancanza di coesione, la mancata volontà di colpire rendite parassitarie e privilegi stratificati, ha determinato una totale sfiducia dei mercati finanziari internazionali nei confronti del nostro paese. Tutto ciò si trasforma, giorno per giorno, in costi aggiuntivi sul bilancio dello stato e delle imprese italiane, con conseguenze dirette per le tasche dei cittadini. Siamo costretti a pagare più interessi per trovare chi compra i nostri titoli di Stato. Poiché abbiamo il debito più alto al mondo (119% del P.I.L.) che equivale a circa 2.000 miliardi di euro (avete letto bene duemila miliardi di euro) ogni punto in più di interesse sul debito equivale ad un costo aggiuntivo di 20 miliardi di euro annui. Noi al momento paghiamo interessi di circa 3,5/4,0 punti in percentuale più alti di quello che paga la Germania, il paese con maggior fiducia degli investitori. Questo significa che emettiamo nuovi titoli di stato a tassi che variano tra il 5% e il 6% annuo: moltiplicatelo per il debito e vedrete che ogni anno siamo costretti a pagare in interessi qualcosa come 100/120 miliardi di euro. In 15 anni di governo Berlusconi il debito è salito da poco più del 90% del P.I.L. all’attuale 119%. Cifra enorme che va coperta con tasse e tagli agli investimenti. Inoltre, il fatto che il nostro paese sia considerato poco affidabile rende difficile per le nostre banche ottenere prestiti sui mercati internazionali, se non a tassi molto alti. Anche questo si ripercuote sulle nostre tasche quando andiamo a chiedere dei prestiti per acquistare l’auto o dei mutui per comprare la prima casa. Non solo: siccome le banche soffrono una grave crisi di liquidità, sono molto più selettive nel prestare denaro e non è più così facile per le famiglie e le imprese avere denaro in prestito. Quando lo trovano, i tassi sono più alti e quindi pagano rate di rimborso più pesanti. A tutto questo dobbiamo aggiungere che nella manovra di luglio/agosto scorso, il ministro Tremonti ha deciso di aumentare alcune imposte che pesano sui servizi bancari. Dal prossimo anno, l’imposta sulle rendite finanziare generate dal possesso di titoli salirà dall’attuale 12,50% al 20% con la contemporanea diminuzione dal 27% al 20% di quella sui depositi (conti correnti e depositi a risparmio), esclusi i titoli di stato. In effetti, questo aumento di imposta rientra, in parte, nelle richieste che la CGIL fa da diversi anni, perché permette di recuperare risorse gravando in percentuale più alta sui detentori di grossi patrimoni. Più iniquo è invece l’aumento dell’imposta di bollo sui dossier titoli, perché colpisce in cifra fissa e non in percentuale, per cui paga la stessa cifra sia chi ha poco che chi ha molto. Il bollo su chi detiene titoli (di stato o delle banche) è passato da 34,20 euro annui agli attuali 120,00; dal 2013 per depositi sotto 50.000 € si pagheranno 150 € e, per importi superiori addirittura 380 € annui: una piccola patrimoniale a carico delle famiglie che hanno messo da parte qualche risparmio nei momenti migliori.
Fisac Cgil: La crisi la paghiamo noi! Aumenta il costo dei servizi bancari
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