Perchè l’articolo 18 non deve essere toccato: la parola all’esperto

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“La discussione sul mantenimento dell’attuale disciplina che regola i licenziamenti, vista da molti come un intervento necessario nell’ambito di una più vasta riforma del mercato del lavoro per favorire nuova occupazione, merita qualche riflessione” spiega Bruno Neri uno degli avvocati giuslavoristi che collabora con l’Ufficio Vertenze Cgil Livorno “Il primo argomento speso è che la disciplina va cambiata perché «ce lo chiede l’Europa» e perché una tale disciplina la si rinviene solo nel nostro ordinamento lavoristico. In realtà l’Europa chiede che i nostri conti tornino in ordine e che siano eliminati gli sprechi e combattuta l’evasione fiscale. In tutto questo l’art. 18 non entra per niente e aggiungo che in Europa, probabilmente, sono in molti che vorrebbero avere una disciplina come la nostra. Il secondo argomento è che con questa disciplina gli imprenditori non possono più licenziare liberamente per risanare la propria azienda. Questa credo, sia la menzogna più grossa che alcuni, più politici che imprenditoriali, vorrebbero far passare. In realtà l’imprenditore che stia attraversando una crisi che imponga la riduzione degli organici, può attingere sia alla disciplina prevista per i licenziamenti collettivi, sia a quella del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Se, invece, vuole licenziare un soggetto per motivi disciplinari, lo può benissimo fare ricorrendo alla procedura per giusta causa. Quindi il fine dell’art. 18 è solo quello di evitare che un licenziamento avvenga per ragioni al di fuori di queste situazioni di giustificato motivo. A questa considerazione si potrebbe obiettare che il progetto di riforma del prof. Ichino prevede il mantenimento della tutela “reale” (quella, per intenderci, che obbliga alla reintegrazione) in caso di licenziamento per motivi discriminatori, religiosi, sindacali, ecc, ma chi abbia un minimo di pratica con le problematiche di natura probatoria, sa benissimo come sia difficoltoso in causa provare la natura “discriminatoria” di un licenziamento. La riprova di ciò che potrebbe accadere la abbiamo nell’ambito dei licenziamenti che interessano quei lavoratori (indubbiamente molti) a cui, in luogo della tutela “reale”, si applica la più blanda tutela “obbligatoria” prevista dalla legge 108. Qui, veramente, capita di assistere a licenziamenti con motivazioni assolutamente prive di qualsiasi ragionevolezza attraverso i quali, scientemente, il datore, pagando il pegno di qualche mensilità, si libera di qualsiasi lavoratore a lui non gradito. E non è un caso che in questi settori la sindacalizzazione sia minore e la paura di perdere il posto di lavoro notevole. Qui veniamo al punto. Nell’idea di Ichino il lavoratore licenziato e privo della tutela reale dovrebbe seguire dei corsi di aggiornamento professionale ricevendo un’indennità per poi far rientro, magari in una diversa mansione. All’illustre giuslavorista capita di fare riferimento alla situazione in Danimarca. Il problema è che, purtroppo, l’Italia non è la Danimarca e perdere un posto di lavoro, soprattutto quando si sono passati gli “anta” è un vero e proprio dramma, dato che gli ammortizzatori sociali e l’appetibilità dal punto di vista contributivo del lavoratore che si trova, ad esempio, in mobilità, non garantiscono il rientro nel mondo del lavoro o, nel migliore dei casi, lo consentono attraverso forme di precariato più o meno istituzionalizzate (si pensi, per tutti, al “lavoro somministrato”). Bene ha fatto, dunque, ammesso che sia così, il Governo a mettere da parte l’eventualità di modificare l’art. 18. Ne riparleremo quando questo Paese sarà al pari di altri paesi scandinavi, semmai questo potrà accadere”.

20 DICEMBRE 2011 L’art. 18 dello Statuto dei lavoratori rappresenta “una norma di civiltà che impedisce le discriminazioni ed esercita una forma di deterrenza per tutti. Un paese democratico e civile non può rinunciarvi”.  Il Ministro Elsa Fornero ha annunciato nei giorni scorsi, una riforma del mercato del lavoro a cui il governo sta lavorando. “Dicono riforma del lavoro, in realtà – denuncia la leader della CGIL Susanna Camusso – sono licenziamenti facili”. Il Segretario generale della CGIL è tornata a ribadire la contrarietà a questa manovra “iniqua”, perchè “in prevalenza punta sul carico fiscale, sui lavoratori e sui pensionati”. Inoltre, prosegue Camusso dal presidio “non c’è alcun intervento su chi ha di più ed è troppo timida sul terreno dell’evasione. Anzi – avverte – si determinano dei drammi sulle persone, allungandogli la vita lavorativa”. Per Camusso occorre, invece, una redistribuzione degli ammortizzatori sociali “per garantire il reddito delle persone in un momento di aumento della disoccupazione”. Per quanto riguarda lo sciopero e le manifestazioni come strumenti di protesta dei lavoratori in una fase di crisi, la leader della CGIL sottolinea come siano ancora “strumenti validi. Sono la dimostrazione di cosa pensa il mondo del lavoro”. Lo sciopero, prosegue Camusso “è un sacrificio doloroso per tutti, lavoratori e imprese, un danno per lo Stato e quindi – conclude – tutti dovrebbero avere interesse a risolvere i problemi”.

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