Dopo l’esplosione della pandemia, la raffineria Eni di Livorno non si è fermata: molti operai invece sì, specie nell’indotto delle ditte metalmeccaniche in appalto che curano la manutenzione degli impianti. Accessi alla raffineria e lavoro nel sito sono stati ridotti dai nuovi protocolli di sicurezza anti contagio, di conseguenza la maggior parte dei metalmeccanici sta a casa in cassa integrazione.
Il tempo dell’attesa, per loro, si somma a un orizzonte precario che già stanno vivendo, costretti a lavorare nell’universo scarsamente tutelato dell’appalto. A questo si aggiunge la prospettiva di perdere il posto visto che questo 2020 era l’anno della scadenza dei contratti per le aziende appaltatrici metalmeccaniche.
Coronavirus, lavoro in appalto…è davvero troppo, anche per persone abituate ad affrontare le difficoltà del “lavorare per vivere “: sostenerle tutte insieme è drammatico.
Quando il governo stabilisce che per motivi di sicurezza e tutela del lavoro bisogna lasciare a casa le persone, occorre garantire un reddito. Sono due le cause principali della cassa integrazione: da un lato la raffineria ha contingentato tutti gli accessi per evitare assembramenti, quindi lavorano meno persone. Dall’altro lato i lavori si svolgono più lentamente, per rispettare procedure e distanziamento “dove è possibile”. Abbiamo avuto 2-3 settimane di caos,poi siamo riusciti ad organizzarci con le aziende.
Il Coordinamento Fiom chiede di avere chiarezza sui prossimi mesi. Quando la situazione potrà tornare alla normalità bisogna per forza risorgere, rimboccarsi le maniche. Il coronavirus può essere un’occasione, ora la società si è resa conto che chi usa le mani è importante. Noi lo smartworking ce lo sogniamo. La Classe Operaia ha avuto una rivincita. Qui si vive di lavoro, di indotto.
IL COORDINAMENTO FIOM