In questi ultimi mesi si è aperta una discussione sempre più accesa su lavoro nero, Reddito di cittadinanza e imprenditori che a loro dire non riescono a trovare persone disposte a lavorare per loro.
Come sindacalista mi permetto di lanciare una proposta. Credo che per contrastare il lavoro nero gli enti preposti debbano poter “tracciare” in tempo reale i lavoratori, cioè sapere se essi si trovano davvero sul posto di lavoro oppure no. Propongo pertanto di rendere obbligatoria la timbratura di ingresso e uscita dal lavoro con un badge elettronico collegato in rete ai portali dell’Inps, dell’Inail, dei Centri per l’impiego e dell’Agenzia delle entrate. In questo modo gli enti indicati potrebbero effettuare controlli in tempo reale per verificare se effettivamente un lavoratore si trova o meno sul posto di lavoro e nel caso ci fossero infrazioni provvedere alle sanzioni.
Gli enti indicati fornirebbero la tessera elettronica al lavoratore contestualmente alla sua formale assunzione: un modo per avere la certezza che l’azienda abbia assunto il lavoratore con un regolare contratto tutelato anche dal punto di vista previdenziale e assicurativo.
La tracciabilità elettronica ha già permesso di contrastare in modo importante il fenomeno delle cosiddette dimissioni in bianco: oggi infatti il lavoratore che vuole dimettersi deve presentare una precisa richiesta per via telematica (in passato invece spesso succedeva che al momento dell’assunzione il datore di lavoro facesse firmare anche un foglio in bianco con la richiesta di dimissioni).
Per contrastare il lavoro nero e la “giungla” dei contratti senza le giuste tutele è però fondamentale che anche le aziende facciano la propria parte, senza ricorrere a “scorciatoie”. E’ ai Centri per l’impiego che i datori di lavoro si devono rivolgere per effettuare assunzioni: solo in questo modo si ha davvero la garanzia che vengono applicati i giusti contratti e le corrette tutele.
Una considerazione infine sul Reddito di cittadinanza. Molti imprenditori sostengono di non trovare lavoratori poiché questi ultimi preferirebbero il Reddito di cittadinanza a un posto di lavoro: siamo convinti che se questi imprenditori applicassero correttamente le norme dei Contratti collettivi nazionali di lavoro (con tutto ciò che ne consegue in termini di salario e tutele previdenziali e assicurative) il problema non si porrebbe. Ricordiamo inoltre che se un lavoratore beneficiario del Reddito di cittadinanza rifiuta anche una seconda offerta di lavoro ritenuta formalmente “congrua” dal Centro per l’impiego, il lavoratore in questione perde il diritto al Reddito di cittadinanza.
Stefano Santini
segreteria Filctem-Cgil provincia di Livorno